In meno di una settimana ho scritto due articoli su Gratteri (Nobile gratterium tuere e 1870, Gratteri da suddito a sovrano). Forse gli ultimi, perché ormai mi resta poco da dire su questo amato paese.
Gli articoli ai quali ho fatto riferimento rappresentano entrambi un personale commento, senza alcuna pretesa di validità sul lato storico, di quel “nobile” attribuito al nome di Gratteri, che tante supposizioni ha fatto nascere. Nel primo dei due articoli l’attributo è dichiarato esplicitamente nel titolo.
Nell’altro è sottinteso. Ma, a mio avviso, è proprio qui che esso trova il suo autentico significato in senso attuale. Perché l’atto del Sindaco del tempo (Antonino Di Marco, secondo quanto si legge nel certamente affidabile Gratteri di Isidoro Scelsi) è sicuramente quello del primo cittadino di una comunità consapevole del valore dell’istruzione e del diritto ineludibile di averne l’accesso senza limiti di genere e di censo.
Il che si evince soprattutto dal rifiuto da parte del sindaco del compromesso proposto dalla Deputazione provinciale, adita “affinché – come riferisce L. Caminiti nel suo Educare per amore di Dio – l’istituto fosse affidato alla locale congregazione di carità”, della quale – come si trova scritto nel citato libro di I. Scelsi – il Sindaco era anche il Presidente.
Questa mansione del sindaco non deve trarre in inganno, al pensiero che con tale affidamento si perpetuasse l’idea che l’istruzione fosse comunque un’opera caritativa demandata a quella congregazione, della quale egli era a capo, a prescindere dal suo ruolo di primo cittadino. Nel caso specifico, invece, la congregazione era un ente pubblico che esercitava un dovere dello Stato verso i ceti economicamente meno favoriti della società, dato che – come traiamo – da Wikipedia – «A seguito dell’unificazione nazionale italiana, la legge 3 agosto 1862 n. 753 («legge Rattazzi») istituì la congregazione di carità con lo scopo di curare l’amministrazione dei beni destinati all’erogazione di sussidi e altri benefici per i poveri. La legge prevedeva una congregazione di carità per ciascun comune. La decisione effettiva sulla creazione della Congregazione spettava comunque al Consiglio comunale, in autonomia».
Il che significa che nel nostro caso il Di Marco era doppiamente un pubblico ufficiale, col mandato di difendere i diritti della comunità di cui era il principale rappresentante. Dei quali diritti, quello all’istruzione era ritenuto certamente primario; e proprio per essere venuto meno al dovere di garantirlo nell’unica scuola femminile del circondario l’erede dei Belmonte veniva sanzionato a prescindere dal ruolo di benefattore riconosciuto al suo avo fondatore dell’istituto.
La vicenda finale del Collegio di Maria di Gratteri è certamente degna di memoria. Soprattutto perché dalla sua felice conclusione è dipeso il riconoscimento del diritto all’istruzione: in concreto, perché un uso oculato delle risorse pervenute dall’esito positivo della controversia consentì l’avvio delle lezioni alle costituite classi femminili; sotto il profilo morale, per il passaggio dal ruolo di sudditi beneficati a discrezione della volontà del principe pro tempore a quello di cittadini titolari di un diritto di cui i governanti avrebbero dovuto farsi carico, pena, in caso contrario, l’accusa omissione di un pubblico servizio.
Riconoscimento, quindi, di primaria importanza. Attinente alla dignità della persona. Perché è la lingua che ci fa uguali, diceva Don Milani. E la lingua, nel senso di capire quello che ci viene detto e di dire quello che sappiamo, ce la dà la scuola. E finché ci sarà uno che la sa usare e un altro che non la possiede, il primo continuerà a comandare e il secondo a subire.
Ecco perché il 1870 è per Gratteri una data da non dimenticare.
Rubrica a cura di Giuseppe Terregino