Un segno a noi prossimo dell’arte normanna minore

Guardando la chiesa dell’abbazia di Santo Spirito in Caltanissetta, è impossibile non vedervi concretata la ricostruzione della chiesa della nostra abbazia di San Giorgio.

E questo perché quel piccolo gioiello dell’arte normanna nell’interno della Sicilia riproduce nella parte esterna dell’abside la struttura a noi tanto familiare e per la quale si sono spesi impegno politico (dopo la riscoperta degli anni settanta del secolo scorso) e progetti professionali di riedificazione.

Ma c’è un lato, quello storico-religoso, che a nostro modesto avviso dovrebbe corroborare tale impegno e fare avviare un percorso ricostruttivo rapido e nella direzione giusta. La quale è quella della storia che ha fatto nascere, accanto alle maestose cattedrali di Cefalù, Monreale e Palermo, anche luoghi di culto meno appariscenti, ma ugualmente efficaci per avvalorare la rinascita del cattolicesimo di rito latino dopo la parentesi araba e la precedente dipendenza della chiesa di Sicilia dal patriarcato di Costantinopoli.

Con tutto quello che quest’ultimo stato di cose poteva significare anche in termini di organizzazione della vita religiosa.


Per essere più chiari, tali piccoli e reconditi insediamenti rispondevano alla politica religiosa dei re normanni, i quali in virtù della Legatia apostolica concessa dal Papa di Roma al Conte Ruggero, ne recepivano l’autorità sulle istituzioni religiose. Con la restaurazione del rito latino su larga scala, queste venivano sottratte all’ipoteca della corte bizantina, alla quale per varie ragioni erano legati i religiosi di rito greco, di fatto dipendenti dall’Imperatore più che dal Patriarca.

In questo i normanni agirono con intelligenza: non cancellarono immediatamente le istituzioni religiose di rito greco presenti in Sicilia all’atto del loro insediamento sovrano. Anzi le agevolarono alquanto. Mi riferisco, per esempio, a quelle dell’ordine di San Basilio, che continuarono a vivere e in certa misura a prosperare.

Ma l’insediamento di comunità monastiche di rito latino, quali furono , per riferirci al caso nostro, quelle agostiniane, di provenienza nordica come i regnanti, rendeva vieppiù significativo il legame della chiesa di Sicilia con Roma, accrescendo di fatto il potere religioso dei re normanni, i quali in virtù della Legatia apostolica ne avevano titolo come delegati pontifici; e sganciando, anche sul lato spirituale, le comunità monastiche dall’autorità del patriarcato di Costantinopoli. Cosa non di poco conto, stante la dipendenza di quest’ultima dalla corona di Bisanzio, con la quale i Normanni erano in competizione non esente da mire espansioniste.

In questo stato di cose, la nostra abbazia di San Giorgio, per la vicinanza con la chiesa di Cefalù e per la posizione a quel tempo non irrilevante, doveva avere – questa è ovviamente una nostra valutazione, forse campanilistica – un ruolo principe o comunque non secondario nella sopra accennata politica religiosa dei Normanni. Del che è testimonianza il fatto della sua prosperità, col favore regio, durante l’arco del loro governo. Nonché la stessa quasi immediata decadenza dopo la fine di questo.

L’abbazia di Caltanissetta non ha avuto la medesima sorte. Certamente coeva della nostra, come si desume dall’ampia descrizione reperibile sul web, che fissa al 1153 la data della consacrazione, venne affidata (nel 1178) ai religiosi dell’ordine agostiniano come la cattedrale di Cefalù – segno, anche questo, di un disegno strategico dei nuovi governanti della Sicilia –. Essa ha avuto poi una vicenda non degradante come nel caso nostro, che la fa essere abbastanza efficiente ancora al giorno di oggi.

Della sua secolare vicenda storica non è il caso di riferire in questa sede. Quel che conta è il suo stato attuale: frutto magari di rifacimenti vari, esso conserva la struttura originale con tutte le peculiarità dello stile normanno. La chiesa è aperta al culto ed è divenuta, in virtù della suggestione che promana dalla sua struttura sita in luogo non invaso dal cemento, sede ambita di cerimonie religiose di vita familiare, quando se ne vuole esaltare proprio il lato mistico. Cosa che la rusticità delle pareti e le immagini di tonalità medievale, col Pantocrator a copertura della parete absidale interna, fanno meglio assaporare agli astanti.

Non andiamo oltre nella descrizione. Basta avere richiamato l’esistenza di una significativa struttura architettonica che potrebbe rafforzare il senso di una ricostruzione già a lungo desiderata ed attesa: quella della nostra chiesa di San Giorgio, da effettuarsi senza remore, per salvare un segno non trascurabile di un’epoca che vide la nostra terra, una volta tanto indipendente, al centro della vita politica e culturale (si pensi alla Scuola poetica siciliana) nell’area, sempre strategica, del Mediterraneo.

Rubrica a cura di Giuseppe Terregino

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