Finalmente l’immagine più adatta nella locandina della festa delle SS. Spine a Gratteri. Si tratta dell’icona dell’Ecce Homo dipinta dall’umile figlio della terra gratterese che durante il sacrificio eucaristico soleva immedesimarsi fino alle lacrime nella sofferenza del Cristo coronato di spine.
Tanto si immedesimava che – come ci racconta il Passafiume – Nostro Signore volle una volta gratificarlo con la sua apparizione nell’ostia consacrata mentre egli invocava l’Agnus Dei.
«Questa visione – prosegue il racconto – si impresse con tanto dolorosa ferita nel profondo del cuore del servo di Dio , che egli … non riuscì più a proferire una parola: solo con lo svanire della visione riuscì a portare a termine il sacrificio; ma non svanì dal suo intimo il doloroso ricordo. Infatti, come poté lo rappresentò su una tela con un rudimentale pennello».
È giusto quindi dire che il termine icona è quello proprio dell’immagine, stante che questa, nel nostro caso, riproduce fedelmente una realtà vista e non soltanto immaginata dal pittore.
Che la visione fu un evento reale è testimoniato dal clamore che esso ebbe anche a distanza notevole di luogo e di tempo. Con una indiscussa accettazione da parte di coloro che ne vennero a conoscenza. E ciò anche perché Padre Sebastiano (è di lui che stiamo parlando) era considerato tutt’altro che un visionario.
La sua santità di vita e il ruolo che occupava nella giovane famiglia francescana dei Cappuccini ne facevano, invece, un testimone credibile. Tanto che un quadro consimile al suo nel tema gli venne attribuito tout court benché lo stile e la tecnica della pittura denunciassero chiaramente l’applicazione di una mano del tutto diversa da quella dell’autore del quadro di Gibilmanna.
Il dipinto di cui stiamo parlando, certamente di epoca successiva a quella del Nostro, si conserva nel convento dei Cappuccini di Francavilla di Sicilia. A testimonianza di quanto diffusa fosse la fama di Padre Sebastiano nell’intera provincia della sua famiglia religiosa anche dopo la sua scomparsa.
Se dovessimo dare un giudizio estetico (ammesso ovviamente che ne fossimo all’altezza), dovremmo necessariamente concludere che il ritratto di Francavilla è certamente di maggiore pregio, sia per la forma della figura, sia per il gioco della luce su colori ben vivaci, che lo fa somigliare a un caravaggesco, sia per la qualità dell’impasto cromatico.
A differenza della monotonia cromatica di quello di Gibilmanna, che nel complesso è piuttosto opaco, mentre i tratti somatici della figura emergono senza forte risalto dall’oscurità. Ma, malgrado queste caratteristiche non eccellenti, esso trasmette bene allo sguardo del visitatore il forte patos dell’artista, che sembra veramente partecipe della sofferenza del personaggio rappresentato.
Tanto da potersi dire che quelle spine del Redentore egli le abbia sentite trapungergli la fronte come se lo seguisse portando sul proprio capo la corona spinosa in una col Cireneo carico del legno della croce.
Ecco allora il motivo per cui dicevo all’inizio che l’Ecce Homo di Padre Sebastiano è quanto di più pertinente possa esserci nell’avviso della festa gratterese seconda solo a quella dell’Apostolo Giacomo quanto a coinvolgimento popolare sul lato dello sfarzo coreografico.
Meritevole del primato essa è, invece, sul lato della pietà. Perché alle Sante Spine la gente comune ha fatto sempre ricorso nei momenti di maggiori calamità. Che tali reliquie abbiano anche un riferimento personale oltre il contatto fisico col capo del Redentore – cosa, questa, non sicura indiscutibilmente anche se la gente di Gratteri non ha avuto mai dubbi – è certamente molto importante sotto il profilo della fede.
Ricordare che un figlio di questo piccolo ma nobile paese abbia seguito Gesù sofferente sul Calvario dietro a San Francesco, il quale del Crocifisso fu interlocutore storicamente certo, provando con lui i tormenti delle trafitture più dolorose, è certamente un dato che dà alla festa delle Spine un significato teologicamente alto e un valore di testimonianza verace.
Rubrica a cura di Giuseppe Terregino