<Susiti ca l ‘uottu stannu sunannu> I miei risvegli da scolaro erano contraddistinti da queste immancabili parole di mia madre e delle mie sorelle più grandi. Le parole delle voci a me care potrebbero essere definite come il testo dello spartito dei cento battiti delle due campane dell’orologio puntualmente scanditi tutte le mattine. Cento? Sicuro: spesso li contavo.
Ero contento di alzarmi e di andare a scuola, ma talvolta sarei stato più contento se l’orologio avesse taciuto, si fosse dimenticato il suo dovere e mi avesse così consentito di rimanere al caldo sotto le lenzuola!
Nei miei ricordi invece l’orologio non ha mai mancato un battito e questo forse rappresenta la metafora della vita stessa: una corsa del tempo che non può essere fermata.
Nelle notti di agosto, da gratterese dal lontano nord ritornato a casa, quei battiti dei quarti, delle mezz’ore delle ore davano una dimensione al tempo che per sua natura stessa a Gratteri mi è sempre apparso indefinito, in una dimensione perfetta, assoluta.
Quei battiti mi sembravano un invincibile armata contro lo stupore, forse contro lo smarrimento dei silenzi profondi, del sentirmi nel buio senza riferimenti, del vagare di pensiero in pensiero senza uno spazio, una sentiero una meta, si perché il percepire il frazionamento del tempo forse mi dava la sensazione di trovarmi in uno spazio determinato, percorso, familiare. Già lo spazio e il tempo … O lo spazio è tempo?
Da allora sono decorsi lustri, decenni, importanti frazioni di secolo. Ora l’orologio tace.
Ho la sensazione di un tempo che non scorre, che non va avanti, è statico, immobile. Mi chiedo se il tempo in realtà non vada indietro. Forse procede con andamento circolare? Se mi sveglio di notte, senza i tocchi dell’orologio la notte appare sconfinata, come il cielo. Sono le ventitré o le cinque? Potrei guardare l’orologio digitale sul telefonino, ma rifiuto l’idea che la tecnologia possa aver preso il posto di quello scandire meccanico e in un certo qual senso artigianale.
Ora l’orologio tace. Nei ricordi della prima giovinezza il silenzio dei battiti è forse il tempo che e stato e che non potrà mai più essere, il tempo di tutti i tempi , il tempo indefinito e definitivo, immenso e senza fine.
Avv. Giuseppe Cicero