Lettere: San Giacomo apostolo, la bandiera e l’autogru con il cestello

Tutto si svolge sul filo del ricordo. Ma il ricordo di un gratterese lontano dal suo paese e forse ancora più struggente. Un filo cosi lungo, così forte  e così stretto che nulla può allentare e tanto meno recidere. Ho sempre pensato che ognuno di noi, ovunque le contingenze lo abbiano destinato, si porta addosso, scritto sulla pelle come un tatuaggio indelebile, il suo essere nato a Gratteri.

O meglio l’avere fatto il suo primo incontro con il mondo a Gratteri.

O meglio ancora l’avere avuto per la prima volta coscienza di se’ a Gratteri.

Per questo più volte mi sono chiesto cosa significa, in cosa si sostanzia, quale è la peculiarità dell’essere nato a Gratteri. Tra le tante cose che questo può significare mi pare che se ne possano individuare alcune che stanno sopra le altre e forse le compendiano tutte: siamo gente dura, tenace, inflessibile, sappiamo agire in condizioni difficili ottenendo sempre il miglior risultato, gente di grande umanità che ha verso gli altri un atteggiamento di disponibilità, abbiamo un senso fors’anche esasperato del sacrificio e dell’accettazione, ma anche di smisurato orgoglio.


E’ fortemente sconsigliato averci come nemici! Siamo gente che può perdonare, ma mai dimenticare. Siamo gente seria proprio perché sappiamo guardare il mondo con umorismo e ironia. Il <<foro>> cittadino ( leggi la <<piazza>>) cos’altro è ( forse sarebbe meglio dire cos’altro era) se non il luogo dove si recitano a soggetto estemporanee commedie dell’arte?

Ieri 25 Agosto per esempio in piazza e’ andata in scena l’esposizione della bandiera che tradizionalmente viene alzata e fissata (<<appizzata>>) sulla sommità della Chiesa Madre, nella imminenza (15 giorni prima) delle Festività in onore del Patrono S. Giacomo Apostolo. Numerosi compaesani hanno assistito all’evento.

Ogni gratterese sa esattamente lo svolgersi della cerimonia. In breve:un impavido compaesano si arrampica per le scale che portano al tetto della chiesa e, raggiunta la croce di ferro infissa nel punto più alto della facciata, vi attacca la bandiera, mentre gruppi di gratteresi con il naso in su guardano lo svolgersi dell’operazione, la cui conclusione è sancita dal festoso suono della campana.

Tuttavia quest’anno il protocollo  della cerimonia cui ho assistito <<de visu et de auditu>> è stato davvero singolare.

In un primo momento ho visto arrivare in piazza un enorme autogrù con cestello che, essendo molto ingombrante riusciva ad avanzare a stento, suscitando l’attenzione di tutti. Mi sono subito chiesto, forse come tanti,  dove poteva essere diretta.

Ma, prima che riuscissi ad elaborare qualsivoglia ipotesi e congettura, uno dei soliti ben informati mi ha riferito che le scale per raggiungere il tetto della chiesa e collocare la bandiera non sono più sicure e che quindi la bandiera sarebbe stata <<appizzata>> con l’autogru.

Quello che è seguito è stato meccanicamente sbrigativo: un nostro compaesano è salito nel cestello; l’autogru ha allungato il suo braccio verso il cielo; nel volgere di pochi minuti l’operazione è stata compiuta senza nessuna suspance, nessuna catarsi collettiva, nessuna poesia.

Quella salita delle scale, che seppur fatta da uno solo, era la salita di tutti i gratteresi, quella suggestiva cerimonia fissata nel mio ricordo fin dall’infanzia come un momento di vera e autentica emozione, introduttivo di quella gioiosa attesa che precede il di’ di festa di leopardiana memoria, ora è divenuta arida tecnica da intervento edile.

Se è vero che le scale non sono più sicure come erano, spero sinceramente che lo ridiventino, perché  la bandiera di San Giacomo <<appizzata>> con l’autogru è una cerimonia da dimenticare.

Giuseppe Cicero

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