Più non s’odono /gaie voci di donne/al fiume di Santo Nicola,/né canti di dolci fanciulle/e di spose novelle/all’acqua della Fontana Grande.
Questi sono i primi versi di un modesto componimento datato al 1968, che in qualche modo evoca, nella rimembranza del canto delle dolci fanciulle, il “sonavano le vie d’intorno al tuo perpetuo canto” in A Silvia di Giacomo Leopardi. Che salto di qualità! Tale da vergognarsi nel parlarne. Da parte dello sprovveduto autore dei versi sopra riportati, ovviamente. Non certo perché le fanciulle lodate nei medesimi versi non ne fossero degne.
Si trattava infatti delle giovani donne del nostro paese, le quali, pure scontando la pena di un vivere gramo e senza i confort che la tecnologia di oggi consente alle donne, nella lunga attesa che il misero filo del prezioso liquido riempisse la brocca di terracotta o il secchio di lamiera avevano la lena di cantare, con animo grato e speranzoso, un inno alla primavera.
Oppure di ciarlare gaiamente da buone comari sacramentali o soltanto di “mazzetto”, come si nomavano quelle che avevano stretto la “commaranza” con un mazzolino di fiori donato all’amica del cuore a San Giovanni e un altro contraccambiato da questa nel giorno di San Pietro.
Bei tempi per un anziano. Ma non tanto belli per chi doveva, col tempo buono o brutto, andare a lavare i panni al fiume, come veniva denominato quel torrentello che d’estate solo dall’area di “Santanicola” in su poteva essere una appena sufficiente risorsa per il bucato.
E non c’era solo questo da fare per le donne. Erano appunto loro che dovevano provvedere alle pulizie domestiche, che andavano dalla spazzatura al lavaggio dei pavimenti, fino a qualche metro quadrato fuori dell’uscio, della cui nettezza le gratteresi erano zelanti quasi fosse il biglietto da visita per accreditare la pulizia interna della abitazione.
E ancora loro si incaricavano di imbiancare le pareti interne ed esterne della casa. Operazione assai laboriosa, che però esse svolgevano con una solerzia da imbianchine di mestiere.
Il pane allora si faceva in casa. Ed erano pure le donne ad occuparsene. Con vero sacrificio, perché l’impastamento era faticoso, come laboriose erano la preparazione del forno e la raccolta della brace, che veniva racchiusa in contenitori adatti, gli “stutabrace”, e conservata per l’inverno, quando si aggiungeva alla carbonella fatta apposta per il riscaldamento degli ambienti abitati.
Allora non c’erano ne’ termosifoni né stufe di alcun genere. L’unico dispositivo adatto era il braciere, la cui cura era quantomeno fastidiosa, sia per la manutenzione dello stesso, sia per l’accensione della carbonella come per la cura del fuoco volta a ottenerne efficacia ed efficienza.
Ma non tutte le donne avevano – chiamiamola così – la fortuna di limitarsi ai lavori domestici. Erano tante quelle che dovevano aiutare gli uomini di casa nei lavori agricoli. Soprattutto quando nella famiglia non c’erano figli maschi. E in ogni caso era compito proprio delle donne la raccolta delle olive, a drupa a drupa, senza teli e macchine raccoglitrici.
Come si vede non era facile la vita delle donne allora. I canti delle dolci fanciulle e delle spose novelle alla Fontana Grande erano un inno alla vita che nell’adolescenza si proiettava, in virtù anche delle illusioni amorose, nel “vago avvenire” – come dice Leopardi – che ogni ragazza “in mente aveva”. Ma neppure oggi le donne hanno raggiunto una condizione di vita del tutto gratificante.
E il ricordare le pene del passato non vuole essere un rimprovero alle donne del presente per sollecitarle a fare di più di quello – cosa abbastanza rilevante – che esse fanno. I vantaggi che la tecnologia offre loro nell’esercizio delle pratiche casalinghe non le ripaga affatto delle violenze che subiscono in casa e fuori casa, quando non si tratta anche di vessazioni continuate e discriminazioni nei luoghi di lavoro.
Il riandare con la mente al passato vuole essere nel nostro caso un doveroso omaggio alle donne gratteresi che nell’ombra e nel silenzio hanno contribuito alla riuscita delle odierne generazioni. Hanno contribuito e sono state spesso protagoniste, ma non sempre sono state trascurate o sottomesse. Il maschilismo – è vero – è stata una nota saliente del costume; ma non è tutto vero quello che in proposito è stato pubblicizzato, soprattutto dalla cinematografia.
Nel nostro ambiente le donne, nella generalità dei casi, hanno ricevuto il riconoscimento dei loro meriti oltre che rispetto della loro dignità. Erano additati con disprezzo gli uomini che malmenavano le proprie mogli. Ed era forse l’attesa e la speranza di una vita coniugale felice, al di là delle ristrettezze e della fatica del vivere quotidiano, che spingeva le ragazze a festeggiare il loro tempo migliore cantando alla primavera quando questa brillava nell’aria ed esultava per i campi.
Rubrica a cura di Giuseppe Terregino