Tanti sono i punti di contatto tra il borgo gratterese e la città di Cefalù, regale nel suo superbo sguardo ad occidente. Sicché inseparabile ed unico ne è il destino. Ma ce n’è uno che ci parrebbe ingiustamente trascurato se non lo si mettesse in evidenza.
Si tratta del legame tra la poesia di Carmine Papa, “poeta zappatore” cefalutano, e il nostro maggiore poeta gratterese, Giuseppe Ganci Battaglia, maestro di scuola irresistibilmente attratto dalla bellezza della natura, il cui incanto sapeva cogliere ed esternare in pregevoli note liriche, ispirategli sovente dalla contemplazione estatica del panorama gratterese. Come ci sembra essere il canto che si stende nella prima strofa dell’inno A Carmine Papa del 1991, nel centenario della morte dell’umile, ma grande, poeta cefalutano:
Carmine Papa, viddanu ‘gnuranti,
maravigghiasti li dotti e li scienti
cu li sinsati ed armuniusi canti
ca criavi accussì, ‘ntempu di nenti.
Guardannu la natura ammalianti,
lu suli a lu livanti e a lu punenti,
lu mari granni, lu celu brillanti,
nascia la puisia ‘ntra la to menti.
Come non vedere, infatti, nei secondi quattro versi dell’ottava trascritta l’abbraccio dello sguardo volto intorno, da oriente ad occidente, e a distesa di fronte verso “lu mari granni”, proprio dalla terrazza di Gratteri? Quella terrazza da cui il paesello paterno, “ammucciateddu ‘ntra muntagni e sciari”, “com’un vintagghiu domina lu mari”.
A seguire, un attacco empatico di stampo georgico con l’immancabile lode della vita campestre, che richiama l’analogo elogio di Tibullo: «’Ntra la campagna truvasti la paci/ e ‘ntra la povertà fusti felici». Anche qui, però, avverti l’eco della immedesimazione del nostro poeta con la povera gente del contesto gratterese, dove, malgrado la vita stenta, «cc’è la paci santa e l’armunia / di la natura bona e cc’è l’amuri», nonché la protezione celeste sopra «sta genti chi cù stentu e cù duluri… / curri ogni ghiornu all’antu, a la campìa,/ e lu panuzzu vagna di suduri».
Tale immedesimazione non è quella del letterato, compiaciuto del proprio salto sociale, che vede nella vita contadina un tema poetico di sicuro impatto emotivo anche presso i suoi lettori; ma c’è sintonia affettiva col “poeta zappatore”, qual era Carmine Papa, che viveva quella vita di cui il Ganci era, si, uno spettatore, ma coinvolto e partecipe.
Fino qui il cammino dei due poeti è comune. Le loro strade si separano quanto al ruolo che il poeta sente di avere nella comunità di appartenenza.
A differenza del nostro, il quale, anche se ha avuto incarichi pubblici, ha vissuto la sua ispirazione poetica nel privato, Carmine Papa è stato soprattutto vate e rapsodo della comunità cefaludese: non tralasciava alcun evento di forte impatto sociale di cui non si facesse carico, dal colera alle guerre, finanche su scala europea, dalla sommossa del 1856, che costò la vita a Salvatore Spinuzza, all’apertura del Liceo.
Il suo sguardo mirava lontano, anche se l’angolo della sua visuale non poteva, per le ragioni del suo status sociale, che essere alquanto ristretto. Salvo in ambito religioso, dove, invece, dava prova di conoscenze ben elevate, che gli derivavano dalla consueta frequentazione con le più alte cariche del clero diocesano. Sulle tematiche di più alto valore morale, come la pace e l’istruzione, si è espresso con una carica sapienziale che fa essere degne di ricordo alcune sue espressioni.
Basterebbe leggere la poesia per l’apertura del Liceo per farsi l’idea di come Carmine Papa avesse un concetto alto della cultura, nella quale vedeva, con anticipo anche rispetto alla classe dei dotti. la realizzazione dell’umano nelle sue peculiari potenzialità in termini di libertà e di giustizia sociale.
Riguardo al tema della pace, è famosa la sua battuta: “Viva la zappa ed abbassu lu cannuni”, nella quale l’esaltazione del lavoro si coniuga con la condanna senza appello della guerra. Ad essa Ganci Battaglia replica con due strofe dell’inno commemorativo, in cui inizia con l’approvare il pacifismo di Carmine «pirchì la guerra è na cosa incivili, / pirchì distruggi l’omini e l’armali, / vecchi, picciotti, viddani e civili!», per concludere con tre versi oggi di struggente attualità: «Mentri lu Papa sona li campani, / l’omu birbanti spara lu cannuni, / e morinu accussi, li cristiani!».
“Viva la zappa”: da parte di uno zappatore, qual era per l’appunto Carmine Papa, è il segno della irrinunciabile gratificazione esistenziale connessa al lavoro agreste, nonché la nota saliente della civiltà contadina nello stadio preindustriale, in cui la zappa è vista come insurrogabile strumento di vita.
Su questo punto Ganci Battaglia non può che essere patetico nel senso migliore del termine, come può esserlo un poeta autentico quando si immedesima con intenso patos nel costo di sudore che deve pagare, correndo ogni giorno all’antu e alla campia, “sta genti” per gestire la propria grama esistenza.
Sul tema della guerra il Ganci, provato dall’esperienza di due tragiche guerre mondiali e dal proliferare di conflitti, di cui alcuni mai sopiti, in vari angoli del pianeta, va oltre l’abbassu lu cannuni del collega Carmine, dichiarando “Morti all’arma vili” e concludendo, dopo avere paragonato l’uomo guerreggiante ad un cane famelico che azzanna chiunque si ponga ad ostacolare il suo cammino, con i versi riportati sopra, che oggi suonano come un profetico lamento biblico.
Così che i due poeti, a dispetto del loro basso profilo, che li fa ritenere minori, alzano all’unisono la voce della poesia fino a farsi interpreti dell’universale anelito di pace che sale dal cuore di ogni uomo e dal seno dell’umanità.
Rubrica a cura di Giuseppe Terregino