«Il cenobio venne fondato – secondo lo storico premonstratense N. Backmund – intorno all’anno 1140 da Ruggero, figlio primogenito di Ruggero II».
La data e il nome del fondatore impongono una riflessione, stante che in essi è dato di leggere un motivo tutt’altro che casuale e senza nesso con la storia di un’epoca tormentata da conflitti di ogni genere tra il papato e l’impero, nonché tra questi e i regnanti di ogni livello e latitudine.
Il 1140 è una data per più versi significativa, specie se, come vedremo, è associata al nome del neo Duca di Puglia, protagonista della vittoria, nel 1139, sulle truppe papali a Galluccio sul Garigliano. Una vittoria che cambia in modo rilevante le dimensioni e il peso del Regno di Ruggero II nell’area del Mediterraneo, mentre rappresenta la conclusione della lunga vicenda che aveva visto il re di Sicilia implicato nello scisma apertosi nella Chiesa alla morte del papa Onorio II.
La successione, infatti, non era stata univoca: al successore Innocenzo II si contrappose, quasi immediatamente, Anacleto II, sostenuto da una delle due fazioni in cui si erano divisi i cardinali elettori. Questi passerà alla storia come antipapa, anche se avrà un suo seguito. Tra cui Ruggero II, che proprio da lui era stato incoronato Re di Sicilia nel 1130.
Una incoronazione che Innocenzo riconosce solo dopo la scomparsa di Anacleto (1138), quando, in seguito alla conclusione della vicenda bellica a Galluccio, il 27 luglio 1139 «fu ratificato un trattato a Mignano. Con esso Ruggero II, dietro prestazione dell’omaggio feudale e il versamento di un censo annuo, si vide riconosciuto il dominio sulla Sicilia e il titolo di re, mentre i suoi due figli, ebbero il Ducato di Puglia e il Principato di Capua» (Tommaso Di Carpegna Falconieri, Dizionario Biografico degli Italiani, vol. 62).
Non è nostra intenzione entrare nel merito delle vicende appena accennate. Non ne avremmo la competenza, né si avrebbe una delucidazione significativa riguardo al tema del nostro discorso, che è quello di far emergere il significato della fondazione della nostra Abbazia nella logica della politica religiosa dei Normanni. Un significato che sta proprio nel rapporto del nuovo regno col papato di Roma, adesso corroborato da due atti formali ineludibili: la Apostolica Legazia di Urbano II al Conte Ruggero e il sopracitato “omaggio feudale”, che equivaleva al formale riconoscimento di una autorità superiore alla propria nella persona (nel caso specifico, il Papa di Roma) verso cui veniva reso.
Se poi si aggiunge il dato della vicinanza di san Norberto di Assen, fondatore dell’ordine monastico dei premonstratensi, al Papa Innocenzo II e quello della predilezione di costui verso i canonici regolari e gli ordini monastici in generale, si ha qualche elemento in più per capire il motivo della presenza di una comunità cenobitica d’oltralpe in un recondito angolo del suolo siciliano e la non trascurabile rilevanza di essa nell’itinerario normanno da Cefalù a Monreale.
Dice ancora il citato scritto di T. Di Carpegna: «Norberto di Xanten e Bernardo di Chiaravalle, due tra le figure più imponenti del XII secolo, furono i fieri sostenitori di Innocenzo II. Questo condivideva con loro la formazione culturale, l’alto ideale di riforma della Chiesa, la propensione per gli ambienti monastici e canonicali, … E se da parte del papa non furono lesinati aiuti e privilegi, è vero anche che il riconoscimento universale di I. II e la sua vittoria finale su Anacleto sono da ascrivere principalmente all’operato di Norberto e Bernardo».
A questo legame, nato e rafforzatosi nel tempo trascorso da Innocenzo fuori di Roma, a ragione della pervicace resistenza di Anacleto a non lasciare la sede papale, non è certo azzardato riportare la fondazione dell’abbazia di San Giorgio. E non è neppure da escludere che la nascita della stessa rientrasse nelle clausole non scritte, ma ugualmente vincolanti, del trattato di Mignano. In ogni caso è certo che il Papa si sentisse meglio garantito riguardo al legame con la sua sede apostolica da un clero regolare, stante che per lui –come dice ancora T. Di Carpegna – «la vita regolare era infinitamente superiore a quella secolare».
E questo «lo spinse a favorire il formarsi di congregazioni di canonici regolari che officiassero tutte nella medesima diocesi o provincia, che sottostessero a un capitolo generale (forse mutuato da quello cistercense) e che obbedissero a un priore generale. . Così, i numerosi benefici concessi a Norberto di Xanten, fondatore dei premostratensi, e, attraverso di lui, alla sua arcidiocesi di Magdeburgo, miravano a porre sotto l’egida della riforma e della vita comune e regolare il potente moto di evangelizzazione che investiva l’Europa nordorientale».
Dopo quello che abbiamo sopra riportato, diventa quasi lapalissiano il motivo della fondazione di una abbazia premostratense nel territorio che, regnante Ruggero II, era privilegiato come sede morale del Regno. Cosa che risulta anche avvalorata dalla preferenza del medesimo Re di collocare nella cattedrale da lui fatta costruire il sarcofago che ne avrebbe dovuto raccogliere, alla fine dei suoi giorni, le spoglie mortali.
Non è quindi esagerato dire che il rudere della chiesa di San Giorgio in Gratteri abbia in sé l’eco della predicazione evangelica di un tale pilastro del monachesimo medievale quale fu San Norberto di Axen, un convertito, secondo la leggenda, come San Paolo dopo una caduta da cavallo a causa di un fulmine, che spese la successiva vita nella diffusione del Vangelo, come predicatore ambulante prima e quindi come fondatore, a Prémontré presso Laon, di un cenobio, su suggerimento del vescovo di questa sede, e quindi come vescovo di una sede molto importante, qual era a quel tempo quella di Magdeburgo. Il che rende il rudere assai prezioso e incancellabile perché singolare nel suo genere.
Non solo quindi i pregi stilistici del rudere rimasto, dei quali i competenti non si stancano di magnificare l’incomparabile valore di testimonianza sul lato artistico, sono motivo di salvaguardia di quello che rimane e, possibilmente, di restaurazione di quello divorato dall’usura del tempo e dall’incuria della gente, ma anche le connotazioni storiche qui succintamente rilevale. Perché queste ultime rendono a quello che rimane della gloriosa Abbazia di San Giorgio la giustizia che essa, in estrema solitudine – come dice il Backmund – attende nell’ammirevole incanto del suo sito.
Rubrica a cura di Giuseppe Terregino
I. II dovette abbandonare Roma ad Anacleto e comportarsi come un antipapa, vagando per tre anni fra l’Italia settentrionale e la Francia. Il grande vantaggio di I. II rispetto al suo rivale fu tuttavia quello di ottenere la fedeltà di quasi tutto il clero regolare d’Occidente: i cluniacensi, i camaldolesi, i cistercensi, i certosini e i canonici regolari delle diverse congregazioni si schierarono subito dalla sua parte. I. II, che era stato canonico regolare, proveniva da un ambiente culturale rigoroso e permeato dallo spirito di riforma.
Egli proseguì la politica di benevolenza nei confronti del clero regolare che era stata già di Onorio II, ma riuscì a conferire a essa uno slancio e una vitalità senza precedenti. Il periodo compreso tra il suo pontificato e quello di Anastasio IV vide infatti il solido impiantarsi dei cistercensi in tutta Europa e fu testimone della massima espansione dei canonici regolari.
I. II perseguiva un proposito ancora più radicale, che però non riuscì a realizzare. La sua austera idea di riforma, per la quale la vita regolare era infinitamente superiore a quella secolare, lo spinse a favorire il formarsi di congregazioni di canonici regolari che officiassero tutte nella medesima diocesi o provincia, che sottostessero a un capitolo generale (forse mutuato da quello cistercense) e che obbedissero a un priore generale. Dietro queste concessioni si celava l’intenzione di sostituire il clero secolare diocesano con i canonici regolari, ovvero di sottomettere i cleri diocesani alla vita comune e regolare. Così, i numerosi benefici concessi a Norberto di Xanten, fondatore dei premostratensi, e, attraverso di lui, alla sua arcidiocesi di Magdeburgo, miravano a porre sotto l’egida della riforma e della vita comune e regolare il potente moto di evangelizzazione che investiva l’Europa nordorientale. Allo stesso modo, la proibizione di eleggere un vescovo senza il consiglio dei religiosi, contenuta nel canone 28 del II concilio Lateranense, è testimonianza dell’intenzione di affiancare i monaci e i canonici regolari agli ordinamenti istituzionali secolari, e di contare sul maggior numero possibile di vescovi provenienti dal mondo canonicale e monastico (Maccarrone).
Benché una tale imposizione del modello di vita regolare non ottenesse effetti durevoli, il favore mostrato dal papato innocenziano al monachesimo riformatore e al mondo canonicale provocò un tangibile rafforzamento del potere pontificio. Attraverso la collaborazione con i cistercensi e con i premostratensi fu infatti ampliata considerevolmente la possibilità, da parte del papa, di far valere la propria autorità nei chiostri e nelle sedi episcopali. Il pontificato di I. II, con la sua capacità di servirsi del clero regolare per imporre il primato della Sede romana, si può considerare un precursore dei grandi pontificati duecenteschi.
Norberto di Xanten e Bernardo di Chiaravalle, due tra le figure più imponenti del XII secolo, furono i fieri sostenitori di Innocenzo II. Questo condivideva con loro la formazione culturale, l’alto ideale di riforma della Chiesa, la propensione per gli ambienti monastici e canonicali, la durezza delle posizioni verso l’eresia: le condanne di Abelardo e di Arnaldo da Brescia, nelle quali appare la sintonia di vedute tra Bernardo e I. II, sono emblematiche. E se da parte del papa non furono lesinati aiuti e privilegi, è vero anche che il riconoscimento universale di I. II e la sua vittoria finale su Anacleto sono da ascrivere principalmente all’operato di Norberto e Bernardo.
Durante l’estate 1130, mentre il papa risaliva da Pisa a Genova e i suoi legati raggiungevano la Francia, re Luigi VI, che ancora non aveva preso posizione nei riguardi dello scisma, fece convocare un concilio a Étampes, affinché il clero francese si schierasse. Bernardo, assertore accanito della legittimità di I. II, fu presente al concilio e, orientando il dibattito sulle qualità morali dei contendenti anziché sulla legittimità dell’elezione, riuscì a convincere il clero di Francia a riconoscere Innocenzo II. Poco più tardi il pontefice, passando per Cluny e raggiungendo l’Alvernia, poté celebrare un suo primo concilio, che si tenne a Clermont il 18 nov. 1130 e nel quale egli inaugurò il suo programma di riforma, tramite l’emanazione di canoni concernenti essenzialmente la disciplina ecclesiastica. Permanendo in Francia con Bernardo sempre al suo fianco, I. II strinse saldi legami con il re, che incontrò a Saint-Benoît-sur-Loire e dal quale fu scortato fino a Orléans. Enrico I re d’Inghilterra, che si trovava nel suo ducato di Normandia, volle incontrarlo a Chartres e gli giurò fedeltà (13 genn. 1131).