La lezione del presepe francescano di Greccio

Lo sfarzo del tempo di Natale è così tanto da imporre una inevitabile meditazione, dato l’ossimoro vivente tra la sostanza e l’apparenza delle festività in itinere. Tanto lusso, infatti, mal si concilia con l’invito a volgere lo sguardo verso chi non ha neppure una coperta per ripararsi dal freddo, come la piccola fiammiferaia della più struggente favola di Andersen. E di piccole fiammiferaie oggi ce ne sono tante.

Allora, nel tempo di Andersen, questa contraddizione era più evidente nelle grandi città. Dove lo sfavillare delle luci nei negozi di leccornie faceva da rovescio alla medaglia dei focolari spenti nelle case abitate dalla povertà, pur essa assai diffusa.

Oggi, la globalizzazione economica ha pure omologato il costume, soprattutto nei riti del consumismo, che trasforma ogni evento di massa in un’occasione per dilatare il mercato del superfluo e dell’inutile. Pure nei paesetti c’è la medesima atmosfera cittadina.

Atmosfera che qui non vogliamo condannare. Si tratta, infatti, dei segni dei tempi, che non si possono cancellare con un colpo di spugna. Può soltanto valere la pena di portare alla contemplazione, nel presente, quello che viveva, un tempo purtroppo lontano, nella fantasia dei ragazzi di un paese come il nostro, i quali, ispirati dal presepe costruito in chiesa dal parroco (da noi nella cappella della Sante Spine), così erano portati a immaginare l’Epifania:


Dall’Oriente avanza una cometa
I Re Magi
nella notte stellata
la seguono incantati e fiduciosi.
È nato il Re dei re;
è nato il Salvatore;
Avanza la cometa.
Si posa finalmente:
è strano su una grotta.
Non si bussa a quella porta
Non si chiede neppur permesso:
l’uscio è aperto,
spalancato,
ed il Re –Verbo incarnato –
giace a terra
a braccia aperte.
Non va vanti la cometa.
Si stupiscono i Re Magi
e un dubbio li assale:
è costui il Re dei re?
La sapienza allor che vale
se ad un bimbo poverello
deve omaggio rassegnare?
Ma sta ferma la cometa.
La saggezza ora è ai suoi piedi:
Lui del mondo sa i misteri;
Lui del mondo sa i dolori.
La sapienza è del Signore,
la salvezza nell’amore.

L’ultima strofa non è più del ragazzo ma dell’adulto che non può più abbandonarsi alla fantasia ed è, invece, inevitabilmente portato a riflettere sui mali del mondo. Ma questa non è più poesia, mi si dirà. È vero. Ma anche il sogno della fiammiferaia di Andersen si concluse nella tragedia del suo corpo, che non poté trattenere l’anima disposta a volare tra le braccia della nonna, ossia dell’amore.

Ecco la realtà (non la semplice parola “amore”) che deve girare per le strade del mondo in questi giorni. E per noi è d’obbligo non far travolgere dal frastuono del lusso consumistico lo spirito francescano di Greccio, dove nacque il presepio.

Pure ai tempi di Francesco c’erano le disuguaglianze di oggi. I mercanti la facevano da padroni. E proprio contro di loro, nella persona del suo stesso padre, egli si rivoltò. Perché sapeva quanto cinismo si annidi nella venalità mercantile.

Quello stesso che oggi, nell’imperialismo dei mercati, un altro Francesco addita come causa della globalizzazione dell’indifferenza, che lascia indifferenti per l’appunto dinanzi al corpo di un bambino adagiato dalle onde (più pietose delle mani dell’uomo) su una spiaggia, simbolo di una umanità disperata che solo il mare accoglie nelle sue viscere mortali. Mentre l’altra umanità ammanta di splendore la Carità incarnatasi in un bimbo poverello perché lo sguardo del mondo fosse prevalentemente rivolto verso i suoi simili.

Per concludere, tutto è bello ciò che esalta la venuta del Signore sulla terra. Purché non si soffochi lo spirito di Greggio, che richiama l’umanità all’incontestabile assioma della salvezza nell’amore.

a cura di Giuseppe Terregino

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