La casa sulla montagna: ricettacolo dell’anima gratterese

La casa sulla montagna“: un’eco che ritorna sempre gradita a chi ne abbia assaporato il contenuto. A chiunque ovviamente, perché si tratta di un testo al quale è piacevole tornare con la memoria quando ci si è immedesimati con la mente e col cuore. Cosa impossibile da evitarsi, come avviene per i classici della letteratura, di cui il nostro è un esemplare di tutto rispetto.

Venuto alla luce nella prima metà del secolo scorso, potrebbe essere assimilato alla produzione veristica se non vi si cogliesse una ispirazione di stampo manzoniano nel senso della vita dei personaggi e nell’afflato rosminiano dell’autrice. Alla quale le dolorose esperienze della vita, più volte ferita “per un distacco atroce”, non hanno intaccato la fede in un mondo soprannaturale interiormente sentito come realtà di comunione esistenziale senza soluzioni di continuità.

Così la morte non ha interrotto la convivenza affettiva con le persone care, anche quando queste erano parte essenziale della propria persona, come le figlie strappatele in età abbastanza tenera. E la “casa della montagna” ne è stata la testimone e la fedele consolatrice. «Quante volte, – lei ricorda – col cuore amaro? … quante volte con l’anima sanguinante per un distacco atroce? … E tu, sempre la stessa! Emanava da te un virtù risanatrice, una forza serena e uguale, che mi si comunicava mediante la sola vista delle tue mura, fortissime, nude di ornamenti».

A comunicarle questa “forza serena” era anche e soprattutto l’ambiente umano che la nostra Angelina veniva a trovare nelle sue vacanze (ripetute per trentotto anni, dal 1898 al 1936) ai piedi del Santuario di Maria Santissima di Gibilmanna, in prossimità del paese che veramente amava. Come lei stessa sottolinea quando dice: «È un paesello, Gratteri, che potrebbe diventare una cittadina, se fosse trasportato altrove; … Io lo amo. Vide nascere e morire gli avi e i bisavi dei miei figliuoli; e quindi un poco mi appartiene. Tutti gli anni (da tanti anni!) il rivedere questa buona gente, l’ascoltarla, il richiederla della sua vita, mi riposa lo spirito».


Angelina Lanza è quindi gratterese autentica, perché è gratterese nell’anima e in quanto questa ha di più significativo per l’identità di una persona. È gratterese perché rivendica l’appartenenza a lei di Gratteri. E non “un poco” come avrebbe voluto la sua umile pretesa, quasi una sommessa domanda.

Ma tutto, se lei lo accetta, perché l’onore che deriva al nostro borgo dalla sua cittadinanza è certamente immensurabile, quale può essere quello dell’annoverare tra i suoi figli una personalità di spicco universale per la sua opera letteraria, di cui “La casa sulla montagna” è soltanto un minuscolo esemplare, anche se eccelso per la qualità dello stile e insuperabile come racconto di un ambiente umano nella sua storia, nelle sue consuetudini, nel suo senso della vita, nelle finalità del suo agire.

Ma di questo parleranno coloro che illustreranno la benemerita iniziativa di inserire Angelina Lanza nella toponimia del nostro paese. Qui mi preme mettere in evidenza il volume sulla Corrispondenza epistolare della Nostra, che è un vero classico della spiritualità, un testo da tenere sempre vicino come vademecum di vita devota nel senso migliore del termine.

Di Antonio Rosmini si sa tutto, anche per la recente beatificazione, che ha riconosciuto ed esaltato la sua spiritualità, già apprezzata ed esaltata dai Pastori della Chiesa. Un aspetto, questo, poco appariscente nei testi scolastici, che evidentemente analizzano criticamente il suo pensiero filosofico.

La nostra Angelina Lanza è stata, invece, una fedele seguace del Rosmini mistico, dal quale ha tratto il conforto dell’anima negli strappi dolorosi della sua vicenda terrena. La quale ha avuto pure momenti esaltanti, legati soprattutto a quella comunione di vita familiare vissuta all’insegna dell’amore reciproco.

Per concludere, vogliamo qui ricordare il capitolo del volume di cui ci stiamo occupando che riguarda l’arrivo a Pianetti della comitiva familiare a dorso di mulo. Vogliamo ricordarlo perché può dare un’idea di quella che era una sortita al Santuario quando non c’era la rotabile di cui fruiamo adesso.

Angelina Lanza dà una descrizione così dettagliata e puntuale dei luoghi attraversati, che anche chi li attraversò a piedi in pellegrinaggio può far rifiorire nella propria memoria toponimi ormai fuori uso, dagli Orti, alla Chiusa, al Piano del Morto, alla Valle Nasca, al cocuzzolo delle Ciucca.

Per non dire delle tribuone, la “tribunella, prima stazione della cara via dei pellegrinaggi a Maria di Gibilmanna”, e la “tribuna, la cappellina rustica, senza immagine, che segna il luogo della seconda sosta della Taumaturga”, e del Santuario, il quale, «preciso nei contorni della facciata e del grande fabbricato conventuale, dà lo sfondo e la ragione di bellezza a tutto il quadro».

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