La centralità della baronia di Gratteri nel mondo intellettuale del XVII secolo è riconducibile alla personalità di Don Carlo Maria Ventimiglia, il quale – come si legge nella pagina del volume di Giuseppe Emanuele Ortolani (Cefalù 1758, Palermo 1828) dedicato alle “Biografie degli uomini illustri della Sicilia”, riportata qui in fotocopia – appartiene all’illustre “prosapia dei Conti di Collesano e Baroni di Gratteri”.
Di lui l’Ortolani (pure lui un barone) evidenzia tali e tanti meriti in ambito culturale da elevare il Nostro al ruolo di Principe non solo dell’Accademia dei Riaccesi, al quale l’aveva eletto il Principe di Oneglia per i suoi alti meriti in ogni ambito del sapere, ma anche dell’intera classe intellettuale della Sicilia del XVII secolo.
Tali e tanti meriti da rendere poca cosa quello che di lui si legge – che pure è già abbastanza – nella nota dell’Archivio Biografico Comunale di Palermo: «I suoi interessi furono molteplici: si occupò di ingegneria navale, di astronomia e di scienze in generale lasciando numerosi appunti ed opere a stampa. Tra i più interessanti manoscritti inediti ricordiamo il ‘De Physiologia tractatus’ dove trattò di fisica in ambito filosofico, allontanandosi dalle speculazioni prettamente scolastiche in auge ai suoi tempi. Fu tra gli animatori dell’Accademia dei Riaccesi sorta sotto la protezione di Emanuele Filiberto con interessi prevalentemente letterari».
Emanuele Filiberto di Savoia era il viceré del tempo (1622-1624). Egli governava la Sicilia con poteri sovrani, grazie anche al suo rapporto di parentela con la monarchia spagnola e alla stima di cui godeva per lo spessore culturale della sua personalità, l’abilità diplomatica e la competenza strategica nel contrastare con successo “le incursioni barbaresche e turche, che erano state invece pesanti durante i vicereami precedenti”.
«Mecenate di letterati, artisti e scienziati, rivitalizzò i circuiti accademici, in particolare l’Accademia degli Elevati intelletti di Palermo, che era stata creata dal suo predecessore, ribattezzandola dei Riaccesi e ospitandola nel palazzo reale, dove, in date prestabilite, in sua presenza, si tenevano le adunanze». (Enciclopedia Treccani, alla voce Savoia). Della quale Accademia il nostro Ventimiglia era considerato il Principe.
Ma come si colloca la posizione del Nostro all’interno della baronia di Gratteri? Egli rientra nel novero dei diretti discendenti di Carlo I, di cui alla lapide sul sepolcro dei Ventimiglia nella chiesa del Convento, tra Pietro II, fratello della suora Elena firmataria della lapide medesima, e il barone Lorenzo, ricordato per la definitiva costruzione della edicola delle reliquie, delle quali la principale (per le note vicende storiche) è quella delle Sante Spine. Noto anche perché le spoglie della moglie Maria Filangeri e del Nipote Gaetano sono custodite nelle tombe della Matrice Vecchia.
Carlo Maria è sicuramente diretto discendente del nonno Carlo, dato che porta anche il cognome de Ruiz della moglie dello stesso. Il problema si pone riguardo alla paternità: se sia quella di Pietro II o di un suo fratello. In qualche elenco dei baroni di Gratteri, il suo nome compare proprio tra costoro, dal 1622 al 1628, prima del barone Alfonso, fratello e dante causa del successore Lorenzo.
Ma ricerche più accurate, In particolare riferite alle Postille Documentarie sui Ventimiglia di Gratteri di Rosalia Francesca Margiotta dell’Università di Palermo, dicono che egli sia sicuramente nipote di Carlo, dato che i Fratelli suor Elena e Don Francesco lo indicano come loro nipote, ma soltanto omonimo del barone (Carlo Junior) succeduto allo zio Pietro. In ogni caso egli rappresenta l’anello di congiunzione tra i personaggi ricordati nelle lapidi della Chiesa del Convento e della Matrice Vecchia di Gratteri.
Questa è una divagazione di poca importanza in riferimento al nostro punto di vista, che è quello dal quale attorno alla Baronia di Gratteri, pur nella penombra di un tempo di decadenza e miseria economica della Sicilia, qual era quello del XVII secolo, era rivolta l’attenzione del mondo della cultura.
Si tratta, ovviamente di poca cosa, se la gente comune non poteva trarne – come di fatto era impossibile che ne traesse – alcun profitto. Serve, però, a porre il nostro borgo in una posizione in certa misura eminente tra quelli delle Madonie, dove i Ventimiglia ebbero un ruolo di assoluto dominio feudale. Con tutto quello che tale dominio poteva significare in termini di oscurantismo oltre che di povertà.
Rubrica a cura di Giuseppe Terregino