Quando si ebbe la felice idea di includere il nome di Angelina Lanza nella toponimia gratterese, si disse abbastanza sulla statura intellettuale, spirituale e morale di questo personaggio, purtroppo mai ben ripagato dell’onore che la sua presenza ha reso al contesto non soltanto del nostro paese, ma dell’intero circondario delle Madonie.
Sul piano letterario e della spiritualità Angelina Lanza è senza alcun dubbio una vetta difficilmente eguagliabile. Vetta che spicca anche in alcune pagine della Casa sulla montagna, che è senza dubbio un capolavoro della narrativa per la sensibilità dell’approccio all’ambiente e ai personaggi, per il patos dei drammi umani rappresentati, per la vivezza del racconto, agile ma compiuto, della vita di un contesto umile ma non privo di valori alti, quali la sacralità della famiglia, la solidarietà, la compassione.
Valori che emergono, pur nell’atmosfera tragica della scena, anche nelle pagine che descrivono un incendio di vaste dimensioni che ebbe il suo culmine e il punto di maggiore pericolo in prossimità del cocuzzolo della Ciucca, da dove poteva dilatarsi fino a incenerire buona parte della foresta attigua.
Così non fu perché lo spirito di sacrificio dei volontari accorsi dal paese vicino e la sapienza ancestrale di chi era esperto nella tecnica del tagliafuoco riuscirono a placare la tempesta infuocata che, partita dal territorio del vicino paese di Isnello, stava per divorare ogni specie vegetale sul suo inarrestabile cammino.
Emersero allora prove di altruismo sincero, segno della sentita solidarietà che legava i membri della comunità colpita dalla sventura. Altruismo che però risultò impotente a fronte del dramma di una cavalla su un angusto rialzo di terreno completamente circondato dalle fiamme, che non consentivano ad alcuno di avvicinarsi, mentre il suo proprietario, che voleva istintivamente accorrere, veniva sottratto a stento dagli amici alla medesima sua tragica sorte.
Quell’impennarsi della cavalla nell’ultimo vano tentativo di sfuggire al suo funesto destino e il suo lacerante nitrito di aiuto danno alla scena il tocco più alto della tragedia: non di una animale sembra, infatti, trattarsi, ma di un essere vivente ghermito all’improvviso da una diabolica grinfia mortale.
La descrizione della Lanza è magistrale e vano sarebbe volerne imitare lo stile narrativo. Basta dire che su questo punto il suo genio tocca l’acme del genere tragico e riesce a dare una saggio ben eloquente di quali e quante tragedie la sconsideratezza umana nella custodia della natura può arrecare alla comunità.
Oggi è diventato così consueto lo spettacolo degli incendi che ardono ettari ed ettari di terreno coltivato, immense distese di vegetazione boschiva, fino a lambire i centri abitati, che il racconto dell’incendio descritto da Angelina Lanza in quel della Tribuona grande può sembrare cosa di poco conto, come se si trattasse di “tanto rumore per nulla”.
Ma non è così, perché l’arte quando tocca le vette del sublime – come nel caso appena narrato – ha sempre un effetto catartico, perché commuove e fa nascere il senso di ciò che veramente vale. Il nitrito di dolore della cavalla impennata è il grido di dolore di ogni essere vivente che si è venuto a trovare in situazione simile, vuoi che si trattasse di fuoco, di acqua o di vento, ed è anche un incancellabile marchio d’infamia lanciato col grido di assassini per quegli sconsiderati che, per interessi lerci o per malevola insensatezza, producono danni irreparabili all’ambiente e al prossimo che vi risiede.
Ed è per tale motivo che abbiamo scelto questo relativamente piccolo episodio a simbolo della devastante azione di singoli individui o di potenti lobby nell’uso dell’ambiente naturale. Perché la prosa poetica di Angelina Lanza ha il potere, a nostro avviso, di far nascere la nostalgia di un mondo di valori in cui sta pure la salvaguardia della natura.
Quel mondo di fratelli e sorelle che nel Cantico di frate Sole innalzano la lode al loro e nostro Creatore.
Senza questo fraterno rapporto con la natura, risulta soltanto vana, perché meramente retorica, ogni difesa dell’ambiente naturale, stante il rapporto mercenario che inevitabilmente si instaura con esso, nel quale si perde anche il senso di ogni valore morale ed estetico.
E così perde anche senso la vita, come avviene quando si disconosce il valore della bellezza come fine dell’esistenza e dell’operosità umana.
Rubrica a cura di Giuseppe Terregino