Gratteri e la storia urbanistica di Sicilia

È strano, ma accade, che certe opere di notevole spessore culturale passino inosservate o comunque poco riconosciute nel loro intrinseco valore. Mi è capitato, indagando sulla bibliografia relativa al mio paese, di imbattermi solo per caso in un volumetto non abbastanza rinomato tra i cultori di storia locale.

Mi riferisco al libro su GRATTERI di Pina Di Francesca (in ATLANTE DI STORIA URBANISTICA SICILIANA) edito da una casa editrice assai prestigiosa dalle nostre parti, l’editrice FLACCOVIO, e curato nel contesto della Facoltà di Architettura dell’Università di Palermo.

Già queste ultime due connotazioni editoriali avrebbero dovuto far guardare all’opera col rispetto che si deve a quelle che garantiscono sulla serietà scientifica e culturale della trattazione. Di questo ci si accorge subito, sfogliando il volume, data la ricchezza delle illustrazioni e il taglio nettamente professionale della grafica.

Se poi si approfondisce la lettura, si coglie il rigore nella citazione e nel commento dei dati cronologici, che illuminano bene e senza possibilità di dubbio sui punti di riferimento, facendo anche cogliere l’evoluzione del centro paesano sul lato sociologico ed economico nel corso dei secoli.


Non si indulge, per esempio, su congetture fantastiche riguardo alla origine dell’abitato, ma si preferisce partire da dati storicamente sicuri, che danno un’idea compatibile coi riscontri storici oggettivi della genesi del centro abitato nel luogo che ne costituisce il sito attuale.

La parte più significativa del libro è quella riguardante la descrizione urbanistica. Cosa che risulta quasi scontata dato il contesto in cui esso è venuto alla luce. La descrizione delle caratteristiche abitative dell’agglomerato antico e dello spazio abitativo che si è venuto costituendo al di qua del torrente che li separa (il cosiddetto Fiume, che fa illusoriamente gemellare il nostro paesello con le città più rinomate) è sicuramente magistrale e può fornire materia di riflessione e di confronto negli interventi di ristrutturazione edilizia e di espansione urbana.

Per quella logica del linguaggio delle pietre tanto cara al compianto professore Pasquale Culotta, col quale l’autrice del libro in argomento ebbe a collaborare, se non si tratta di semplice omonimia, nello studio su “Abitare a Gratteri” della Facoltà di Architettura di Palermo verso la fine degli anni settanta dello scorso secolo. Ove si legge che il centro antico «è distinguibile a tutt’oggi per la sua chiara origine medievale». Esso «è attraversato da strette vie curvilinee fiancheggiate da case a una o due elevazioni contenenti una o due piccole camere per piano; la maggior parte di queste strade erano raccordate fino a pochi anni fa da gradonate richieste dalla situazione altimetrica dell’abitato».

Mentre altra è la descrizione dell’insediamento abitativo costituitosi dopo l’espansione verso est oltre il torrente: «il tracciato urbano di questa zona si differenzia dal precedente per la sua regolarità; le strade rettilinee si dispongono in piano secondo le curve di livello; le case a schiera di dimensioni analoghe alle precedenti sono a posto casa con uno o due affacci su strada». Con un dato importante per la datazione degli edifici religiosi insistenti su questa zona, che debbono per forza di cose essere successivi al XVI secolo, salvo la Chiesa del Convento, che risale al XII secolo, quando venne costruita in posizione alquanto lontana dal centro abitato.

Apprezzabile è anche l’excursus storico dell’economia locale durante la dominazione dei Ventimiglia e soprattutto verso la fine di essa, quando il costituirsi in loco di una classe sociale abbastanza affrancata dai condizionamenti del regime feudale veniva a dare al paese un assetto comunitario congruo alla nuova temperie postrisorgimentale.

Sul punto il discorso è – come era logico che fosse – in certa misura lasciato aperto alla ricerca e all’approfondimento, ma non si può dire che sia superficiale, dato che i punti fermi per una indagine più accurata certamente sussistono. Anche perché il ricchissimo corredo di note può dare materia da adire per un discorso di spessore storico-critico.

Veramente godibili sono le illustrazioni fotografiche, che fanno apprezzare anche angoli riposti del paese considerati di solito privi di importanza sul lato turistico; le quali invece proprio perché ben selezionate e curate nella presentazione acquistano un valore etnologico degno di ammirazione.

Impagabile e imperdibile è poi la parte grafica, che illustra magistralmente il lato più propriamente architettonico dell’abitato e spazia anche nella mappatura dell’intero insediamento oltre che del territorio comunale. Con un tocco di poesia nella “ricostruzione pittorica della fonte della Ninfa”.

Il precedente discorso, non discende da intenzione imbonitrice sul lato commerciale, giacché non riguarda me e non interesserebbe all’autrice e all’editore, che si sentono certamente ben ripagati sul lato morale dal frutto del loro impegno culturale, ma soltanto dall’intento, non importa quanto campanilistico, di non lasciare più a lungo nell’ombra un testo che colloca il paese di Gratteri nella cerchia dei centri abitati degni di figurare in un atlante autorevole in riferimento alla storia urbanistica siciliana.

Rubrica a cura di Giuseppe Terregino

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