Quella del Convento, tra le chiese di Gratteri, è certamente la più ricca di informazioni sul ramo gratterese della dinastia dei Ventimiglia. Ivi, nella lapide murata sul lato sinistro del presbiterio, sono sintetizzati, nella successione cronologica dei baroni di questa terra, ben due secoli di storia del nostro paese, dal 1418 (data di investitura del barone Francesco III) al 1621, data della scomparsa di Pietro II. Con i riferimenti anche alle regali ascendenze della madre (Margherita Peralta) e della moglie (Isabella Prades) di Francesco III, che tendono a dare maggiore prestigio alla nobiltà del casato. La prima è indicata come pronipote di Federico II. L’altra è data come figlia di un pronipote di Giacomo II. Entrambe, quindi, riconducibili alla nobiltà aragonese legata alla casa regnante.
I nomi di Giacomo II e Federico II d’Aragona che compaiono nella lapide proprio in riferimento alle due nobildonne citate, come antenati illustri, non sono personaggi di secondo piano. Essi sono al centro, come protagonisti, dei conflitti dinastici in cui viene a trovarsi il regno di Sicilia in seguito alla scomparsa dell’imperatore Federico II di Svevia. Dopo la drammatica parentesi angioina, la casa d’Aragona entra in gioco con Pietro III, alla cui morte (1286) gli succede il figlio Giacomo. Questi pretende, contro la volontà dei maggiorenti e del popolo siciliani, che non intendono però rinunciare alla indipendenza e sovranità dell’isola, di sommare nella sua persona le corone di Aragona e di Sicilia. Perdurando però lo scontento per tale sua pretesa, egli nel 1291 affida la luogotenenza del governo dell’isola al fratello Federico. Il quale, per vicende piuttosto intricate connesse ai conflitti dai quali veniva drammaticamente travagliata la storia del tempo, viene designato dai siciliani ad assumere la titolarità del regno di Sicilia (1296), sul cui trono, divenuto per questo avversario anche del fratello Giacomo, regnerà, non senza contrasti bellici, fino al 1337.
Di questi eventi qui può bastare tanto, perché se ne tratta ampiamente e circostanziatamente nei libri di storia. Può bastare, infatti, ricordare come non fossero insoliti legami di parentela tra le dinastie regnanti e i casati nobiliari, dei quali quello dei Ventimiglia era di primaria importanza, che detenevano di fatto il potere in Sicilia. E questo perché legami siffatti garantivano meglio la fedeltà dei feudatari alla corona e insieme rafforzavano il potere che di fatto costoro esercitavano sui sudditi. La citazione di due monarchi nella lapide in argomento ne è implicitamente la conferma.
Dopo questa breve digressione storica, torniamo al punto di partenza.
«Nel coro di questa chiesa – dice il Passafiume, riferendosi proprio alla chiesa di S. Maria di Gesù, che noi denominiamo del Convento – sono sepolti i corpi dei Baroni della Famiglia dei Ventimiglia Signori del Castellare. Ivi in un sepolcro si legge il seguente epitaffio:
D. O. M.
Carolo I Vigintimillio Collesani Comiti, Crateris
Domino. Elena Virgo religiosiss. Patri Opt. –
duobus Alphonsis Fratribus suis dulcissimi :
Item Ioanni Patruo suo, – Petro primo Avo,
Leonorae, Porto huius uxori, Eleonorae, ac Ioanni
eorumdem filijs, – Magdalenae Tarantae eiusdem Eleonorae Matri.
Item Eleonorae Agrifeae, – Petri II Fratris sui
Collesani Comitis, – Crater, ac S. Steph. Domini uxori,
item maiori suis clarissimis Comit.Vigintimillijs
Francisco IV Proavo, Ioanni Abavo, – Francisco III
Atavo, atquae Isabellae Prades huius uxori Iacobi II.
Arag. Regis Nepti, – Margheritae Peraltae eiusdem
Francisci III Matri Fiderici II Sic. Regis Proneptis
collectis omnium oss. , ac summa pietate depositis
eorum memoriae, manibusque Pijss. B. M. P. Anno 1594.
Epitaffio, questo, identico in tutto tranne che nella data finale a quello che può leggersi nella chiesa, del quale diamo qui di seguito la traduzione:
D. O. M.
A CARLO I VENTIMIGLIA, CONTE DI COLLESANO E SIGNORE DI GRATTERI
ELENA VERGINE RELIGIOSISSIMA ALL’OTTIMO PADRE
E AI DUE FRATELLI DOLCISSIMI DI NOME ALFONSO :
PARIMENTI ALLO ZIO SUO GIOVANNI E ALL’AVO PIETRO PRIMO, E
A ELEONORA PORTO MOGLIE DI COSTUI, A ELEONORA E GIOVANNI,
FIGLI DEI MEDESIMI EA MADDALENA TARANTA, MADRE DELLA MEDESIMA ELEONORA.
PARIMENTI A ELEONORA GRIFEO MOGLIE DI SUO FRATELLO PIETRO II,
CONTE DI COLLESANO E SIGNORE DI GRATTERI E DI SANTO STEFANO.
PARIMENTI AI PROPRI ILLUSTRISSIMI ANTENATI CONTI VENTIMIGLIA,
BISAVOLO FRANCESCO IV, TRISAVOLO GIOVANNI, E A FANCESCO III
BISARCAVOLO, NONCHE’ A ISABELLA PRADES, MOGLIE DI QUEST’ULTIMO E FIGLIA DI UN PRONIPOTE DEL RE DI ARAGONA GIACOMO II, E A MARGHERITA PERALTA,
MADRE DEL MEDESIMO FRANCESCO III E PRONIPOTE DEL RE DI SICILIA FEDERICO II,
ALLE OSSA DI TUTTI QUI RACCOLTE, E DEPOSTE CON SOMMA PIETA’ A LORO MEMORIA, E ALLE ANIME PIISSIME
B.M.P. ANNO 1634
Dal confronto dell’epitaffio dato dal Passafiume con quello della lapide murata nella chiesa del Convento, identici – come abbiamo detto – nel contenuto, risalta la diversa datazione: 1594 nel primo e 1634 nel secondo. Si tratta di un errore dello storico, sempre peraltro molto attento e preciso anche nei particolari, o si deve desumere che il dato in possesso del Passafiume fosse stato redatto di ben 40 anni in anticipo rispetto alla collocazione della lapide?
Sembra proprio così, anche perché nel 1634 Carlo I era morto da quasi sessanta anni (dal 1575) e la lapide così datata veniva ad essere anacronistica, mentre non si fa cenno della scomparsa di Pietro II, deceduto nel 1621. Quando venne collocata la lapide Elena doveva essere molto anziana se era ancora in vita. Ne consegue che forse sulla lapide venne incisa una epigrafe pronta da tempo e applicata da un discendente meno distratto. Forse il barone Alfonso all’epoca titolare della baronia.
La questione non è secondaria e sarebbe opportuno indagare più approfonditamente per dirimerla. Al momento non abbiamo i mezzi per effettuare una tale ricerca, ma non ci è sembrato di poterne tacere nascondendo una delle due date, perché il testo del Passafiume (De origine ecclesiae cephaleditanae) è una fonte rispettabilissima e l’epitaffio presente in chiesa è scolpito sul marmo a futura memoria.
Passiamo quindi a dare qualche cenno biografico dei sei baroni citati nella lapide.
FRANCESCO III. – Questi è ricordato come bisarcavolo della autrice Elena. Di lui si conoscono la data di investitura (1418) e di morte 1452. Figlio del conte di Collesano Antonio Ventimiglia, è il primo domino della baronia derivata dalla divisione ereditaria della contea collesanese, la quale avrà un corso autonomo, anche se i baroni di Gratteri ne rivendicheranno sempre l’appartenenza. In aggiunta fu anche signore della Roccella e di Caronia (fino al 1412, quando cedette al cugino Giovanni la signoria di questa terra) . Della madre (Margherita Peralta) e della moglie (Isabella Prades) si è detto sopra.
GIOVANNI. – Figlio di Francesco III, sposa Margherita Rosso dei Baroni di Cerami. Di lui si danno due notizie importanti: fu titolare dell’XI posto del Parlamento di Sicilia e delegato del mero e misto imperio dal 1449. Con questa espressione si intende “la delegazione all’esercizio di tutti i poteri politico, amministrativo, fiscale, militare e giudiziario”(Wikipedia) nella baronia. Che non è cosa da poco, soprattutto per i sudditi, per i quali risulta alquanto precaria la certezza del diritto nel caso di un signore dispotico e volubile. Il seggio nel Parlamento testimonia di uno stato in cui il potere del monarca (ormai la Sicilia è annessa alla corona di Spagna)è condizionato dai parlamentari, che non sono cittadini comuni come adesso, ma i maggiorenti del regno.
Giovanni è investito della baronia nel 1453 e muore poco prima del 1585.
FRANCESCO IV. – Di lui si sa poco, nulla forse al di là del suo matrimonio con Antonia del Balzo e delle date di investitura (1485) e di morte (1492), che, per puro caso, coincide con quella della scoperta dell’America.
PIETRO I. – Elena lo indica come avo, che di primo acchito si tradurrebbe in nonno. Ma nella lapide manca la indicazione del rapporto padre-figlio con Carlo I, genitore della stessa. Di Lui si indicano la suocera (Maddalena Taranta), la moglie (Eleonora del Porto), nonché i figli avuti da costei. Carlo potrebbe essere figlio suo se nato da madre diversa (ma questo non ci è dato di saperlo). Ne è stato, comunque stessero le cose, l’erede legittimamente riconosciuto per jus sanguinis.
CARLO I. – Padre ottimo fa scrivere di lui Elena. E lo dovette essere veramente, come si evince dal fatto che la memoria di lui sembra la ragione prima della lapide. Non ha titoli pubblici di rilievo; ma non può essere ritenuto secondario il dato del suo matrimonio con la baronessa di Santo Stefano di Bivona Maria de Ruiz, stante che dal figlio Pietro in poi i baroni di Gratteri avranno anche quest’altro titolo nobiliare.
PIETRO II. – Il suo nome nella lapide è citato indirettamente, per via del fatto che è compresa tra i defunti la sua prima moglie Eleonora Grifeo. Dato questo che – come è stato accennato sopra – farebbe anticipare l’epitaffio di parecchio rispetto alla data segnata sul marmo.
Oltre al titolo di signore di Santo Stefano, ereditato dalla madre, a Pietro II venne riconosciuto anche l’attributo di “Padre della Patria” per i suoi meriti nel ruolo di Pretore di Palermo, nonché assegnata la benemerenza di Cavaliere di Giustizia nell’Ordine di San Giovanni di Gerusalemme.
Questa breve sintesi genealogica dei baroni Ventimiglia di Gratteri ha solo lo scopo di dare e eventuali visitatori della chiesa del Convento una chiave di lettura semplice e il più possibile chiara della lapide qui illustrata. Non ha invece alcuna pretesa di completezza, né viene ritenuta priva di errori. Ambisce soltanto al riconoscimento di un servizio reso, con umiltà e senza ambizione alcuna, al proprio luogo natio.
Rubrica a cura di Giuseppe Terregino