La costruzione della nuova chiesa madre, resasi necessaria a motivo di un notevole incremento demografico oltre che da un ampliamento urbano verso Sud-Est, ebbe inizio nel 1824 per volere dell’allora arciprete don Paolo Lapi (†1859), così come si legge in una delle due grandi lapidi commemorative poste all’ingresso della chiesa.
L’incarico per la realizzazione del nuovo edificio chiesastico fu affidato all’architetto Giacinto Zito; una tradizione orale racconta che per la fabbrica della suddetta chiesa furono utilizzate le pietre dell’antico castello, posto nella parte alta del paese. Dedicata a San Michele Arcangelo, fu consacrata dal vescovo di Cefalù Mons. Visconti Maria Proto il 22 settembre del 1854.

L’edificio, in stile tardo-neoclassico, ha un impianto di tipo basilicale a croce latina, suddivisa in tre navate delimitate da dodici robusti pilastri. Le decorazioni a stucco che adornano in maniera sobria la chiesa sono state realizzate tra la fine dell’800 e gli inizi del secolo successivo da maestranze locali.
Nell’arco trionfale, sul quale poggia la cupola ottagonale, un cartiglio mostra la scritta “Quis ut Deus?” (Chi è come Dio?), che corrisponde al nome Michele, di origine ebraica.
La facciata realizzata nei primi anni del XX secolo presenta un andamento semplice e lineare, ritmata da alcune paraste sormontate da capitelli in stile ionico; sul portone ligneo è posta la scritta latina: “Domus Dei est et porta caeli” (Questa è la casa di Dio e la porta del cielo). In alto, sopra il portale, si trova una vetrata raffigurante un particolare del Giudizio Universale di Michelangelo, realizzata durante i recenti lavori di restauro dall’artista messinese Mariella Trapani.

Tra le opere d’arte custodite al suo interno meritano attenzione il fonte battesimale, collocato all’ingresso della chiesa, realizzato alla fine del XV secolo da un ignoto marmoraro attivo in Sicilia; presenta sulla conca lo stemma della famiglia Ventimiglia tra testine di cherubini alate e sulla base cariatidi e diversi motivi fitomorfi, quali la pigna, la vite e l’acanto.
Proseguendo lungo la navata destra, entrando in chiesa, meritano attenzione la tela raffigurante la Madonna Odigitria, di autore ignoto, commissionata da un certo Francesco Agostaro nel 1728; la tela di Sant’Eligio vescovo, anch’essa di ignoto pittore degli inizi del sec. XIX; la statua lignea policromata di San Leonardo, della seconda metà del sec. XVI, proveniente con molta probabilità dall’omonima chiesa oggi non più esistente. Sulla base sono raffigurate tre scene della vita del Santo: il miracolo del parto della regina, la liberazione di un indemoniato e quella di un carcerato.
Segue il trittico statuario in cartapesta della Madonna del Rosario tra i Santi Domenico e Caterina di Luigi Guacci, della fine del XIX sec. Nella parte sottostante è custodito un prezioso presepio in legno e terracotta del XVIII secolo, donato dal cav. Lucia Gussio nel 2004.

Conclude la navata la cappella delle Sante Spine, al cui interno si conservano in un reliquario d’argento quattro spine appartenute, secondo la tradizione, alla corona di Gesù; particolarmente venerate dal popolo gratterese, specie nel passato in caso di calamità naturali, vengono portate in processione la prima domenica di maggio. In alto nella cappella è collocata l’edicola in marmi mischi, proveniente dalla matrice vecchia, realizzata nel 1648 per volontà di Lorenzo Ventimiglia e della moglie Maria Filangeri. In basso è collocato un tabernacolo ligneo che reca la data del 1704, proveniente verosimilmente dalla chiesa di San Sebastiano.
Posta sull’altare maggiore è la tela raffigurante San Michele Arcangelo, titolare della parrocchia, nell’atto di scacciare il demonio con la spada; di autore ignoto, risale alla fine del XVII secolo. Di notevole interesse è poi il coro ligneo intagliato, proveniente dalla matrice vecchia; reca incisa la data del 1769 e fu realizzato da Giacinto Restivo da Cefalù.

Proseguendo si trova la cappella del SS. Sacramento, all’interno della quale è collocato il ciborio marmoreo di scuola Gaginesca datato 1494. Proveniente anch’esso dalla matrice vecchia, presenta in alto Dio Padre benedicente, segue più in basso la Madonna con il Bambino tra gli angeli; sull’architrave è incisa la data e ai lati gli stemmi dei Ventimiglia.
Al centro si trova il tabernacolo vero e proprio affiancato da angeli e dal consueto motivo del baldacchino tra colonne tortili e in basso i dodici apostoli con il Cristo al centro. (cfr. S. Anselmo, Le Madonie. Guida all’arte, KalÓs 2008, pp. 115-116).

Lungo la navata sinistra si trovano un Crocifisso ligneo firmato da Cervello, recante la data del 1853; la statua in cartapesta del Sacro Cuore di Malecore di Lecce del 1914; la tela della Madonna delle Grazie con san Francesco, di Pasquale Sarullo del 1864; la statua lignea di Sant’Isidoro di Mansueto Stuffelser di Ortisei Valgardeni del 1929; la statua lignea di San Pietro apostolo della fine del XVI secolo ed infine la tela di modeste dimensioni del martirio di San Giovanni Battista della fine del XVII secolo.
L’organo, posto sulla cantoria lignea, in corrispondenza della prima arcata dell’intercolunnio destro, fu realizzato da Giuseppe Andronico Lugaro nel 1859.