Chiesa e casa del vero Barone di Gratteri

Il vedere la chiesa del nostro protettore restaurata mi ha dato una gioia immensa.

Già il prospetto era abbastanza decoroso. Ma quello che mi è parso un vero e proprio salto di qualità è stato il ripristino dell’interno, che ha ripreso, nella struttura architettonica e nel colore, quelle fattezze che i nostri antenati ritenevano degne di quell’Apostolo al quale Gesù, per dirla con Dante Alighieri “fé più carezza”. Egli, Infatti, – come ci ha ricordato il papa Benedetto XVI – «appartiene, insieme con Pietro e Giovanni, al gruppo dei tre discepoli privilegiati che sono stati ammessi da Gesù a momenti importanti della sua vita».

È giusto quindi che la sua dimora, anche in un piccolo paese come il nostro, abbia il decoro del rango che Egli si meritò bevendo, primo degli apostoli, il calice della passione. Che è poi il motivo per cui il suo culto si è diffuso nel mondo e la sede delle sue spoglie mortali (Compostella in Galizia) è stata nei secoli, fino ai nostri giorni, meta di numerosi e ricorrenti pellegrinaggi non meno di Gerusalemme e Roma.

La semplicità della nostra statua riproduce, nei segni del bastone e del libro, la figura caratteristica «dell’apostolo itinerante e dedito all’annuncio della “buona notizia”», secondo la tradizione che vuole San Giacomo evangelizzatore della Spagna, o direttamente quando era ancora in vita, il che è poco probabile, dato che egli venne martirizzato intorno all’anno 40 d. C, come si legge negli Atti degli Apostoli, oppure perché proprio in Spagna vennero trasportate le sue spoglie mortali. Onde egli divenne quello che Beatrice “piena di letizia” indica a Dante come “il barone per cui là giù si vicita Galizia” (Paradiso, XXV, vv. 17-18).


Queste citazioni, forse non essenziali, tendono a far risaltare l’identità autentica dell’apostolo Giacomo, che è molto lontana da quella tramandata da rappresentazioni folcloristiche locali fondate prevalentemente su leggende di nessuna valenza storica. «Da san Giacomo – ha detto Benedetto XVI – possiamo imparare molte cose: la prontezza ad accogliere la chiamata del Signore anche quando ci chiede di lasciare la “barca” delle nostre sicurezze umane, l’entusiasmo nel seguirlo sulle strade che Egli ci indica al di là di ogni nostra illusoria presunzione, la disponibilità a testimoniarlo con coraggio, se necessario, fino al sacrificio supremo della vita» (Udienza Generale del 21 giugno 2006).

In questo ordine di idee il restauro della chiesa di San Giacomo, oltre che un doveroso omaggio al santo Patrono, è una presa di coscienza del ruolo primario avuto nella tradizione religiosa gratterese della passione redentrice di Cristo. Le Sante Spine e Padre Sebastiano ne sono i segni e la testimonianza concreta. La scelta di San Giacomo come protettore ne è la conferma.

E se Dante presenta il nostro protettore col titolo di barone, non è insignificante considerare questa baronia la giusta ricompensa per il secolare servaggio della comunità gratterese sotto il dominio di un barone feudatario titolare del mero e misto imperio, dato che l’alta dignità riconosciuta a San Giacomo è legata alla sua disposizione a servire e non ad essere servito, oltre che ad essere garante di giustizia e misericordia. Onde ben si può considerare la chiesa a lui dedicata come il palazzo baronale di Gratteri e perciò degna della maggiore cura possibile.

Isidoro Scelsi colloca la fondazione di questa chiesa al 1589. Una data, questa, assai probabile perché corrispondente alla maggiore fioritura del culto di San Giacomo innescata e favorita dalla dominazione spagnola in Sicilia. Non mi sembra, però, del tutto condivisibile il giudizio estetico dello storico gratterese, secondo il quale essa sarebbe “piccola e goffa e priva di alcun pregio artistico” (Gratteri, Kefa, p. 106).

La restaurazione odierna mette, invece, in evidenza pregi che il precedente degrado rendeva impossibili da apprezzare. Piccola sì, ma non minuscola. Se si tiene conto del fatto che Gratteri è stato sempre un borgo, una chiesa come quella di cui ci stiamo occupando era ben congrua con le dimensioni dell’abitato. Goffa, proprio no. Il tetto a capriate dà uno slancio in verticale che equivale a snellezza. Certo non ci sono affreschi e decorazioni di gran pregio, ma la tinteggiatura delle pareti e soprattutto del presbiterio dà all’insieme un decoro non disprezzabile.

Si tratta solo di valorizzarne nel tempo la presenza come punto d’incontro per le celebrazioni liturgiche legate al culto del Santo, senza sminuire l’uso della vicina Chiesa Madre per le celebrazioni di maggiore e più affollata solennità, come la festa dei giorni 8 e 9 settembre, quando lo sventolio della bandiera con le iniziali dell’Apostolo invita gli abitanti alla festa, ma anche alla concordia e alla pace. Come vuole la consuetudine che sospende per un mese intero ogni forma di contenzioso.

Rubrica a cura di Giuseppe Terregino

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