Chiesa della Matrice Vecchia e i Baroni Ventimiglia

matrice vecchia

Dedicata in origine a San Michele Arcangelo, la chiesa fu costruita accanto all’antico castello dei principi Ventimiglia intorno alla prima metà del XIV secolo. L’interno è a due navate, divise da cinque pilastri che poggiano su robuste basi cubiche. La navata principale è coperta da una volta a botte, mentre quella laterale da un soffitto ligneo.

Madonna del Rosario

All’altare maggiore è collocata la cinquecentesca statua marmorea della Madonna col Bambino, venerata con il titolo di Madonna del Rosario, proveniente dalla chiesa di Santa Maria in Castro, situata nei pressi dell’antico castello e soppressa nel 1818; opera probabilmente di scuola gaginesca, la scultura presenta alla base la natività e l’annunciazione ai lati.

Nell’antica abside retrostante, occlusa purtroppo dall’edificazione dell’attuale altare maggiore, si trovano due interessanti monumenti funebri in marmi mischi all’interno dei quali riposano le spoglie di Maria Filangeri, moglie di Lorenzo Ventimiglia (†1650), e del nipote Gaetano, principe di Belmonte (†1744).

All’interno dell’area presbiterale, sovrastata da una volta a crociera decorata con motivi vegetali, si possono ammirare inoltre due tele, quella sul lato destro raffigurante San Leonardo di Noblac, e l’altra sul lato sinistro la Madonna Sede della Sapienza.


Lungo la navata principale, oltre il pulpito ligneo che sorregge un piccolo crocifisso in avorio realizzato da maestranze trapanesi nel XVII secolo, sono collocate una statua lignea policroma, presumibilmente della fine del cinquecento, della Madonna del Soccorso che regge con la mano destra una mazza con l’intento di scacciare il maligno, e una tela raffigurante San Domenico di Guzman.

San Giuseppe, opera di Francesco Reyna
San Giuseppe, opera di Francesco Reyna

Nella cappella che fiancheggia il presbiterio, si può ammirare la statua lignea di San Giuseppe, opera di Francesco Reyna, dipinta da Vincenzo Di Giovanni intorno al 1680 su commissione di un certo Antonino Mogavero. La statua, originariamente collocata nella chiesa di San Giuseppe, fu trasferita nei primi anni del XIX secolo nella chiesa di San Giacomo e nel 1809 nell’attuale posto, in attesa che la chiesa a lui dedicata, andata nel frattempo in rovina, venisse ricostruita.

Dal momento che questo non avvenne mai, il simulacro rimase definitivamente nella matrice vecchia, occupando la cappella un tempo dedicata alla Madonna Odigitria.

All’interno della medesima cappella si trovano due tele raffiguranti l’Ultima Cena e Gesù Bambino sulla riva del fiume che pesca i cuori, entrambe datate 1767. Alle spalle di San Giuseppe si trovano inoltre altre due piccole tele a forma ovoidale: sul lato destro il Cuore di Gesù (1767) e sul lato sinistro il Buon Pastore.

deposizione di Cristo dalla Croce
deposizione di Cristo dalla Croce

Proseguendo si trova la tela della flagellazione di Cristo alla colonna, fatta realizzare da Maria Culotta nel 1719; segue il Crocifisso ligneo del XVIII secolo, che la mattina del venerdì santo, in una suggestiva atmosfera di commozione, viene calato dalla croce e posto nell’urna, per essere portato in processione. Posta accanto all’ingresso laterale, è una tela dalle modeste dimensioni, che ritrae la deposizione di Cristo dalla Croce. Sulla cantoria, si trova un piccolo organo realizzato nel XVIII secolo.

Ricostruita nel 1925 per volontà del gratterese Carmelo Cirincione, la torre campanaria sorge sul lato sud-ovest della chiesa, in posizione separata rispetto all’edificio; ospita al suo interno sei campane di diversa grandezza, la più antica delle quali porta la data del 1390.

Nella chiesa vi hanno sede le due più antiche Confraternite di Gratteri: quella del SS. Sacramento, sotto il titolo di San Giuseppe e quella della Madonna del Rosario, entrambe fondate tra la fine del XVI secolo e gli inizi del secolo successivo.

Il Blasone dei Ventimiglia

a cura di Giuseppe Terregino

 

Le epigrafi sulle tombe dei Ventimiglia presenti nella vecchia Matrice di Gratteri sono certamente di grande interesse storico. Esse rappresentano, infatti, un significativo documento su una delle dinastie nobiliari che detennero di fatto per un arco di tempo plurisecolare il potere feudale in Sicilia, nonché il nodo dell’intreccio dinastico che portò la baronia gratterese, inizialmente appendice cadetta della contea di Collesano, a divenire parte integrante e non secondaria del principato di Belmonte.

La prima epigrafe, della quale si è detto anche in questo sito, è quella che si trova sul monumento funerario dedicato alla baronessa Maria Filangeri, moglie – come si evince dal testo – di Don Lorenzo Ventimiglia, il quale resse la baronia di Gratteri dal 1642 al 1675, essendo contemporaneamente barone di Santo Stefano di Bivona (o di Quisquina).

D. O. M. S
MARIAE FILANGERIAE
VIGINTIMILLIUM ET COLLISANI COMITISSAE
GRATTERII ET SANCTI STEPHANI DOMINAE
LAURENTIUS DE VIGINTIMILLIBUS
CONIUGI: NATALIUM SPLENDORE ∙ ELEGANTIA ∙
INTEGRITATE ∙ RELIGIONE ∙ MUNIFICENTIA
IN DEUM ∙ IN SUOS ∙ IN OMNES PENE SINGULARI
AMORIS OFFICII ERGO ∙ P.C. ∙
AN. SAL MDCL.

Data l’importanza documentale della epigrafe, non è superfluo aggiungerne la traduzione in italiano:

D.O.M.S. (Deo optimo maximo sacrum: consacrato a Dio ottimo e massimo)
LORENZO DI VENTIMIGLIA
ALLA MOGLIE MARIA FILANGERI
CONTESSA DI VENTIMIGLIA E DI COLLESANO
SIGNORA DI GRATTERI E DI SANTO STEFANO:
QUASI UNICA PER LUSTRO DI NATALI,
RAFFFINATEZZA, ONESTA’, RELIGIOSITA’, MUNIFICENZA
VERSO DIO, VERSO I SUOI, VERSO TUTTI.
PER AMORE E PER DOVERE DI PIETA’ QUINDI DEDICO’
NELL’ANNO DELLA SALVEZZA 1650

Sul titolo di contessa attribuito alla signora Filangeri, c’è da dire che i baroni di Gratteri se ne fregiarono sempre, anche se per ragioni di divisioni ereditarie la contea di Collesano ebbe un corso che escludeva da sé la baronia gratterese.

L’altra tomba presente nella chiesa è quella dedicata al nipote Gaetano (1662-1724), principe anche di Belmonte. Titolo, quest’ultimo, acquisito dal padre di lui, Francesco, nel 1658, dopo il matrimonio con l’ereditiera Donna Ninfa d’Afflitto.

Su quello che può essere considerato un vero e proprio monumento funerario si leggono due epigrafi. Una, quella inferiore, a copertura della tomba, dove si traccia un breve profilo del defunto e se ne sottolinea la volontà di essere sepolto nel luogo dove meglio può essere accolta la testimonianza del suo amore per i sudditi. L’altra, in alto, murata a venti anni dalla morte, nella quale si tesse un dettagliato elogio delle sue non comuni virtù.

Qui vengono riprodotte di seguito nell’ordine secondo cui sono disposte sul monumento, sia nel testo latino che nella versione in lingua italiana.

D . O . M
MORS NON HIC IN TERRAM DEIECIT, SED EXTULIT GAETANUM
XX:M?LIA PRINCIPEM BELMONTIS, GRATTERY, LASCARIS
ET S. STEPHANI: NAM DUM EI MORTALE SPOLIUM DETRAXIT EIUS DECORA
EMICUERE: HIC FAMA MORUM PERORAT, INTEGRITAS, PRUDENTIA DECLA-
MAT, COMITAS, LIBERALITAS, HUMANITAS, EQUANIMITAS CORUSCAT.
HEU PAUPERES MECENATEM PERDIDISTIS. EIUS FRATER D. PETRUS XX: C. R.
FACTA EXCOGITANS IMPRIMI MARMORE CURAVIT A. D. MDCCXLIV.

D. O. M
La morte non calò nella terra (seppellì) qui, ma innalzò Gaetano
Ventimiglia Principe di Belmonte, di Gratteri, di Lascari
e di S. Stefano: infatti, mentre essa prese la sua spoglia mortale, i suoi titoli di gloria
spiccarono: qui la fama dei suoi (buoni) costumi parla, l’integrità e la prudenza declamano,
la affabilità, la generosità, la mitezza e la equanimità brillano.
Ohimè, voi poveri avete perduto un mecenate. Il fratello di lui Don Pietro Ventimiglia,
constatando le opere di così straordinario congiunto, curò che fossero impresse nel marmo
nell’anno del Signore 1744

D. O. M
D. CAIETANUS DE VIGINTIMILLIIS ET AFFLITTO
PRINCEPS PULCHRIMONTIS, BARO CRATTERIS ET S. STEPHANI
POST CELIBEM OMNINO VITAM IN QUA TAMEN FILIORUM
LOCO PAUPERES EGENOSQUE PERAMAVIT, SUISQUE SUMP-
TIBUS ALUIT LARGISSIME, DIEM EXTREMUM OBIIT
XXIII IULI AN: MDCCXXIV AETATIS ANNO LXII
ATQUE HIC MORTALITATIS SUAE EXUVIAS
CONDITAS VOLUIT,
SUBDITIS SUIS, QUIBUS APPRIME VIXIT,
PATERNI AMORIS IMMORTALE MONUMENTUM.

D. O. M
Don Gaetano di Ventimiglia e d’Afflitto,
principe di Belmonte, barone di Gratteri e di S. Stefano,
dopo una vita di assoluto celibato, durante la quale tuttavia al posto dei figli
ebbe molto cari i poveri e i bisognosi, che a proprie spese
sostenne con somma generosità, giunse alla fine dei suoi giorni,
il 23 luglio 1724 a 62 anni di età,
e qui le spoglie della sua vita mortale
egli volle che fossero composte;
ai suoi sudditi, per i quali innanzitutto visse,
perenne memoria del suo paterno amore.

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